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Cronaca di una maratona annunciata.
La preparazione per una maratona la trovo sempre lunga, faticosa e col nero bitume non ho un rapporto idilliaco; preferisco la nuda terra, la montagna, i sentieri e mi sembra anche una considerazione un po' scontata...
Ma questa preparazione è stata particolarmente complessa e costellata di eventi belli e brutti che non mi hanno permesso di allenarmi, anche mentalmente, in scioltezza e non mi hanno permesso di focalizzare la maratona come unico obiettivo.
Le persone che mi conoscono sanno bene che in questo periodo ho corso con il cuore diviso tra una grande tristezza e una grande gioia e comunque entrambe hanno occupato e occupano quel che resta nella mia testa.
L'aggravante generica nel percorso di preparazione è stato anche un infortunio che si è protratto e spostato per diverse settimane.
L'appuntamento con la Maratona di Boston è sicuramente un appuntamento importante e come tale deve essere affrontato; non solo per finirla, per fagocitare chilometri, accaparrare ferraglia e mettere in palmares, così è dal mio punto di vista "atletico"!
L'indecisione di partire fino alle ultime settimane; una svolta nelle mie gambe, l'inaugurazione del Centro Sportivo e la voglia di evadere una settimana mi convincono a partire.
Fatte queste premesse per meglio intendere il periodo e l'importanza che ho dato a questa Regina occorre ringraziare e menzionare tutto il mio entourage.
Proprio così, attorno a me, persone care, che in diversi modi mi affiancano, mi incoraggiano e mi aiutano non solo nella vita "sportiva".
Questi mesi difficili in cui mia moglie Elisabetta ha sopportato le mie assenze anche quando ero presente; la consueta e paranoica attenzione all'alimentazione; lo sconforto, le notti insonni ed irrequiete e tutto quello che comporta un assembramento di problemi.
Il coach Sergio presente quotidianamente sempre pronto a cucire l'allenamento più adatto in quel contesto in sinergia con il fisioterapista Claudio dalle grandi e prodigiose mani, attività di fine tuning sul mio corpo nemmeno fossi un atleta top professionista.
Un passaggio anche dal medico sportivo Dott. Alberto qualche settimana prima con tanto di esami del sangue, tabelle peso e via discorrendo.
Ma qualcuno si chiederà ma a quanto vuoi correrla? Vuoi vincerla? No! Mi piace correre, mi fa stare bene, ho preso un impegno e voglio portarlo a termine al meglio, al massimo delle mie possibilità.
Non voglio strafare, non voglio farmi male e mi piace correre bene ma tutto deve funzionare, il cruscotto non deve avere delle spie accese sennò non si parte.
Il presidente Mauro che sornione mi osserva e mi affianca, una presenza che in maniera discreta mi supporta e mi sopporta.
Eppoi la presenza della mia squadra di corsa (ndr podistica Torino e sport2win) negli allenamenti importanti, nei lunghi ma anche nei lavori infrasettimanali.
A Boston si correrà il lunedì 15 aprile in concomitanza del Patriots' Day, una festa nella festa.
Arrivo in città il giovedì con tutta calma anche per smaltire il jet lag e godermi l'Expo con più tranquillità.
Più del solito la città si presenta sportiva, i parchi e il lungo fiume, che già solitamente sono affollati dalle prime ore del mattino, sono frequentati da maratoneti agli ultimi allenamenti e si testa il ritmo maratona sui quei drittoni di viali (ho preso delle asfaltate che bisogna essere forti psicologicamente per andare avanti).
Nei giorni che precedono la gara cerco di riposare, camminare poco e mantenere la solita alimentazione stando lontano dal diavolo tentatore del junk food e cose del genere di cui, per altro, ne faccio uso quando sono negli States.
Il meteo fa i capricci e fa comunque freddo e per il lunedì sono previste forti piogge, vento e tanto per stare sereni arriva anche una newsletter dell'organizzazione con allerta meteo che avverte di coprirsi, che ci sarà un tempo come l'edizione precedente. Per fare una citazione aulica e letteraria: "questa maratona non s'ha da fare!"
Il lunedì la sveglia è alle 5 con colazione abbondante e italiana: fette biscottate e marmellata sugar free; barrette e panino da mangiare al village prima della partenza delle ore 10,25.
Vestito a strati con abiti dismessi da buttare allo start mi avvio verso le navette e il meteo ci azzecca con diluvio scrosciante e il parco che diventa un fiume; sono fradicio e dopo un'ora e mezza di bus continuo ad esserlo ma il miracolo fa si che a Hopkinton, cittadina di partenza, smetta di diluviare. Si apre la wave e il relativo corral e sono nel secondo blocco nelle prime file.
Mi chiedo cosa ci sto a fare in mezzo a quei cavalli da corsa ma il mio PB mi colloca in quella griglia!
Non ho sensazioni, dentro di me so a quanto vorrei correrla, ma dentro di me so anche a quanto POSSO correrla.
Il nastro di partenza è collocato in cima a una discesona, nei cinque minuti prima dello start e dell'inno americano mi passa un film nella testa, gli ultimi mesi, i pensieri, le preoccupazioni, le soddisfazioni, le cose fatte e quelle da fare tante e troppe al mio rientro; non riesco a spegnere il cervello, a fare quel click per concentrarmi su quei fatidici 42 km e rotti.
Sto già correndo in discesa e troppo forte, rallento e vengo travolto da quelli dietro, tengo il passo e inizia la salita e aumento il passo, così sarà per tutta la gara. Scorrono i chilometri in saliscendi continui, sto attraversando le campagne del New England, lingue di asfalto costeggiate da boschi e attraversamenti delle classiche cittadine della provincia americana che ho avuto modo di scoprire, visitare nei viaggi precedenti. Mi piace questa solitudine della provincia americana, le famiglie che si fermano a fare il brunch nell'unico locale del paese, stazioni di servizio, qualche laundry e un campanile e se metti una giornata uggiosa con vento sei pronto per un thriller americano.
Ma non al Patriots' Day con la maratona e migliaia di atleti; tutti fuori dalle case, tutti dietro alle transesenne a fare il tifo, musica ovunque.
I primi 10.000 passano con persino qualche secondo in meno delle previsioni ma il mio prossimo obiettivo è arrivare alla mezza in 1h31'.
I km scorrono e non mi abituo ai saliscendi ma la media è quella giusta, finalmente ho fatto click, sono isolato, corro sulla mezzeria, non batto nessun cinque agli spettatori. Vengo svegliato da un italiano che leggendo la mia canotta mi urla: "forza Podistica Torino", tifo da stadio con le studentesse dei vari college che fanno a gara ad abbracciare e baciare i sudati maratoneti (che coraggio!).
E anche la mezza passa proprio in 1 h31' previsto con frequenza cardiaca sotto di un paio di battiti ma non devo forzare, meglio così!
Il primo gel è stato assunto a fatica e anche l'acqua va giù a fatica, non ho più freddo, i piedi si sono finalmente asciugati e le scarpe tornano leggere.
So cosa mi aspetta e il mio prossimo obiettivo sono i 30 km in 2h12' circa.
Tenere la media del passo diventa sempre più difficile questi "elastici" iniziano a pesare. Le gare di endurance mi hanno insegnato a correre prima con le gambe, con la testa per la seconda parte della gara e con il cuore negli ultimi km. La fase delle gambe è già passata e siamo nella fase di mettere la testa altrimenti la Regina prende il sopravvento.
Il 27esimo è un chilometro difficile di nuovo pendenze, nausea e non ho voglia di ingerire un altro gel, ci provo e ne scaglio metà a bordo strada.
Il terzo obiettivo è raggiunto con un recupero agli ultimi due chilometri.
Le tre colline mi aspettano, rallento, arrivano i brutti pensieri e i muscoli delle gambe iniziano a farsi sentire. Siamo al 34-esimo e arrivo heartbraker, la famigerata collina spacca cuore che non spacca solo quello.
La discesa forse è anche peggio, fiato corto, gola secca, rabbia emozione e lacrime, la maratona tira fuori tutto.
La tentazione di fermarsi, di camminare è forte, provo con un bicchiere di sali minerali al volo, non devo mollare ne ho fatte di peggio non posso farmi piegare.
Continuo a correre, più piano ma corro e il battito cardiaco scende, brutto segno. Entro in Boston e so che Elisabetta è appollaiata da qualche parte, almeno lo spero, sarà una botta di energia. Ultimo cavalcavia, sul ponte una stridula vocina: "GARAX!"
Ci siamo quasi e ancora questa travolgente sofferenza per un paio di chilometri, il tifo è assordante e la finish line non si vede ancora, ormai non si spinge più, corricchio con le gambe di legno e i muscoli che chiedono pietà.
Ci siamo, si svolta, ultimo avenue e un 300 metri infinito; ancora nausea, ancora pensieri, ancora rabbia, tanta forse troppa emozione.
Fermo il tempo 3h17' e una pesante medaglia al collo.
Ne esco un po' da reduce, sì, da reduce di una battaglia vinta.
Le guerre sono fatte di battaglie, la strada è ancora lunga.
Mi rilasso qualche giorno a Boston sfoggiando la mia pesante medaglia trattato da eroe dai locals.
Mi lecco le fibre muscolari sfilacciate, non corro ancora disinvolto ma già penso ai prossimi obiettivi.
Correrò più veloce dello svizzero e del tedesco!
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