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Stefano Romano, anni 43, una di quelle strane amicizie, che guarda caso fai ad un Running Beer Fest di Runnerpillar. Un tipo strano, fuori dalle regole, un perfetto soggetto per la nostra redazione. Siamo la democrazia del running ma strizziamo l'occhio a chi sa rompere quei noiosissimi schemi fatti di apparenze che annegano il mondo del running rendendolo troppo spesso una banale vetrina di egocentrici, narcisisti che si dimenticano il gusto di correre liberi.
Corri con lui e ti accorgi che non è fatto di apparenze, tuta sbrindellata, maglia tecnica e molto spesso, udite udite niente GPS! Eppure macina km su km, vedi qui che palmares...
- Nazionale Campionati Mondiali 24 h Albi 2019
- Terzo 6 ore Biella 2019
- Primo 100 km Torino 2019
- Quarto NoveColli 2019
- Secondo 100 km Asolo 2019
- Vittoria 50 km Asolo 2018
- Secondo 12 ore Lupatotissima 2018
- Primo 100 km Torino 2018
- Secondo 100 km delle Alpi 2018
- Vittoria 6 ore Torino 2016
Instancabile, sa abbassare il ritmo per accompagnarti e avere un po' di compagnia nei suoi allenamenti. Altrettanto instancabile di fronte alla birra, ci piace perché incarna l'essenza dell'anarco-runner tipico runnerpilliano.
Alla domanda su come viva un ultramaratoneta questo momento, ci fa regalo di uno splendido racconto, grazie Stefano e siamo sicuri tornerai più forte di prima!
"Lo confesso: anche stanotte ho sognato di correre.
Vabbè ci sono abituato.
Almeno tre volte nell'ultima settimana. Il problema è che anche in sogno i kilometraggi si sono accorciati; massimo dieci km, spesso in compagnia di persone più lente di me. Pensare che fino a un mese fa mi sparavo almeno una maratona con dislivello ogni 14 giorni. In piano, magari anche più di 50 km. Poi le gare annullate, il birradimmerdavirus, l'odio verso chi corre. Le mascherine, manco fossero i virus a uccidere più dell'inquinamento, delle reti 5G appena installate, delle sigarette.
Ma se dico questo, poi mi pigliano per anarcoide, pure un po' stronzo.
Vabbè ci sono abituato.
Meglio rifugiarsi nel lavoro, tanto ne ho più di prima, a redistribuire tonnellate di cibo, a gestire i volontari che si rendono disponibili, ad operare nel quartiere San Donato-Campidoglio. Per qualcuno, è tutta una scusa per uscire di casa. Magari era meglio se assumevo gradualmente la forma di una melanzana sdraiato sul divano a bere luppoli e a guardare film d'autore. Ma io sono veramente preoccupato di quello che vedo in giro. Cosa vedo? Molta più paura che solidarietà. Più aggressività repressa che empatia. Mi sembra tutto un film di fantascienza di serie B. Sto aspettando il colpo di scena, ma magari la pellicola finisce da un momento all'altro. Purtroppo per il personaggio del film che impersonifico il bicchiere sarà sempre mezzo vuoto, proprio gli grattugia dentro il fatto di non provare a riempirlo di più.
Ma se dico questo, poi mi pigliano per nichilista, pure un po' portasfiga.
Vabbè ci sono abituato.
Fatto sta che non corro da venerdì 20 marzo. Mi ricordo i podisti improvvisati con lo sguardo impaurito dietro le mascherine, i nastri a sancire l'inutizzabilità di altalene e giochi per bambini, le volanti alla Pellerina che avvertivano che dall'indomani sarebbe cambiato tutto. Vaglielo a spiegare che se chiedo a qualcuno di allenarsi con me, gi altri si mettono a ridere. L'ultimo, tale Gianma, di zona. Sarebbe durato poco anche lui. Mi sono persino iscritto ad una squadra quest'anno per non soffrire di solitudine. Col cazzo, dopo il riscaldamento allenamento differenziato per l'ultramaratoneta.
Ma se dico questo, poi mi pigliano per lamentoso, pure un po' fregnone.
Vabbè ci sono abituato.
E quindi per tornare a noi da un po' di tempo ho sostituito il podismo sistematico con la pratica circense. Sono migliorato alquanto e in poco tempo. Come sempre, con l'allenamento e la costanza si ottengono risultati incoraggianti, soprattutto all'inizio. La testa si rilassa a veder girare le palline colorate, a breve voglio cominciare con l'equilibrismo, un paio di posizioni yoga riesco a tenerle. Per la fine della quarantena conto di riuscire a far girare in aria quattro palline, di aver vinto parte delle mie vertigini, di essere in grado di fare una verticale e robacce così.
Ma se dico questo, poi mi pigliano per cazzaro, pure un po' megalomane.
Vabbè ci sono abituato.
Sarà che alla fine non ci vedo molte differenze fra correre e stare fermo, in equilibrio instabile su se stessi.
Sarà che correre 24 ore o giù di lì è molto duro e devo migliorare la mia tenuta mentale nelle gare a circuito, mentre su quelle in linea è tutto molto più facile e se il campionato italiano è stato rinviato di qualche mese mi va pure di lusso.
Sarà che è pur sempre un allenamento fisico e che il processo di melanzanizzazione appare più lento del previsto.
Sarà che non me ne frega nulla di surrogati tipo cricetare intorno all'isolato, fare le scale migliaia di volte, o peggio correre in cortile come il mio vicino del primo piano, che alle 19 comincia ad un ritmo talmente lento da risultare per me insostenibile.
Sarà che come sempre non mi interessa nulla di quello che pensano gli altri e vado dritto per la mia strada, con poche convinzioni e centinaia di dubbi.
E una cosa la do per certa: sono un ultramaratoneta, pure se non corro.
E pure a questo, a fatica, mi sto abituando."
Stefano Romano
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